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giovedì 17 gennaio 2013

Sant’Antonio Abate: la notte del fuoco


La festa di Sant’Antonio Abate cade il 17 Gennaio, il Santo è venerato come protettore degli animali ed è festeggiato in tutta Italia, in particolare al centro sud in modi pressoché  simili.


Su Sant’Antonio Abate ci sono molti detti e proverbi; il primo fra tutti è legato all’aumentare dell’ora di luce che procede a partire da Santa Lucia. Un proverbio delle nostre parti recita così:

“'n Santa Lucia nù passe re ‘allina, n’Sant’Antuone allonga n’ora”

e ancora

“A Sant’Antuone ogne ‘allina fa l’uove”

proprio per indicare che con l’allungarsi delle ore di luce la vita riprende, la natura si avvia verso il risveglio; a questo è legato il rito propiziatorio del fuoco che con il suo calore e la sua luce squarcia e riscalda la notte.
Nella nostra Campobasso la festività è ancora oggi molto sentita, dal mattino si procede ad accendere il fuoco davanti al piazzale dell’omonima chiesa con enormi ciocchi di legna che arderanno fino a tarda sera. Un tempo c’era l’usanza, alla fine della festa, di riempire il braciere con braci ardenti e portarselo a casa per buon auspicio ed anche per scaldarsi poiché c’era ben poco da scialare.


Al mattino il parroco della chiesa celebra la santa messa e dopo sul piazzale antistante la chiesa benedice gli animali. Oggi si portano cani, gatti e qualche cavallo; alcuni anni fa i contadini portavano galline, conigli, pecore, agnelli, asini, animali legati perlopiù alla sussistenza della famiglia. Anticamente al mattino della festività  lungo la scalinata che conduce alla chiesa si svolgeva  un piccolo mercato della frutta per dare risalto e onore al Santo.


Dal punto di vista gastronomico il Santo viene degnamente festeggiato, poiché il suo giorno apre il periodo carnascialesco e allora sulle tavole abbondano cavatelli e carne di maiale, fave cotte, frittelle e dolci tipici. A tal proposito c’è un aneddoto da citare: quando la città era ancora piccola e arroccata alle basi del monte, i quartieri erano due: Sant’Antonio Abate che si estendeva nella parte bassa e più antica della città; mentre nella parte alta sorgeva il quartiere di San Paolo la cui ricorrenza  cade il 25 gennaio. Ovviamente tra le due zone c’erano rivalità, allora i sant’antunari avevano composto un detto ironico contro i sant’paulani che recita così:

“'n Sant’Antuone le jete ch’ ru ‘alle; n’Sant’Paule checoccia e farenata”

(nel giorno di Sant’Antonio Abate gli abitanti del quartiere mangiavano le bietole col gallo; nel giorno di San Paolo, invece i sant’paulani mangiavano zucca con polenta); questo era uno dei modi di farsi dispetti.


Monaco anacoreta,  Sant’Antonio Abate trascorse la sua vita in eremitaggio, era un uomo forte nella fede, per questo il demonio non mancava di tentarlo presentandosi a lui in vari modi, ad esempio sotto forma di donzella (la cui presenza  la ritroviamo sui misteri del Di Zinno); essa non è altro che il demonio stesso travestito da donna per tentare il sant’uomo. Poiché il Santo viene rappresentato iconograficamente con un porcellino, ecco subito pronto un proverbio campobassano che benevolmente dice:

“Sant’Antuone z’annammuratte d’ù puorche”

che in genere viene detto cinicamente quando in una coppia di fidanzati uno dei due è un po’ brutto; in realtà essendo  Sant’Antonio patrono degli animali si deve a ciò tale rappresentazione.


C’è anche un’altra motivazione senz’altro più valida: i monaci anacoreti vivevano di elemosine, potevano tenere con sé solo quel tanto che bastava per mangiare, però era stato concesso loro di crescere un maialino, infatti fino a qualche tempo fa nei paesi vagabondava un porcellino con un campanellino legato al collo che serviva a segnalare la sua presenza chiamato appunto “purchettiell’e  Sant’Antuone” e ognuno lo nutriva con qualche avanzo della tavola. Quando era il momento il maialino veniva sacrificato per una giusta causa in quanto con il suo grasso gli antoniani (seguaci di Sant’Antonio Abate), curavano gli ammalati e distribuivano le carni ai poveri.