La festa di Sant’Antonio Abate cade il 17 Gennaio, il Santo
è venerato come protettore degli animali ed è festeggiato in tutta Italia, in
particolare al centro sud in modi pressoché
simili.
Su Sant’Antonio Abate ci sono molti detti e proverbi; il primo
fra tutti è legato all’aumentare dell’ora di luce che procede a partire da
Santa Lucia. Un proverbio delle nostre parti recita così:
“'n Santa Lucia nù passe re ‘allina, n’Sant’Antuone allonga n’ora”
e ancora
“A Sant’Antuone ogne ‘allina fa l’uove”
proprio per indicare che con l’allungarsi delle ore di luce
la vita riprende, la natura si avvia verso il risveglio; a questo è legato il
rito propiziatorio del fuoco che con il suo calore e la sua luce squarcia e
riscalda la notte.
Nella nostra Campobasso la festività è ancora oggi molto
sentita, dal mattino si procede ad accendere il fuoco davanti al piazzale
dell’omonima chiesa con enormi ciocchi di legna che arderanno fino a tarda
sera. Un tempo c’era l’usanza, alla fine della festa, di riempire il braciere
con braci ardenti e portarselo a casa per buon auspicio ed anche per scaldarsi
poiché c’era ben poco da scialare.
Al mattino il parroco della chiesa celebra
la santa messa e dopo sul piazzale antistante la chiesa benedice gli animali. Oggi
si portano cani, gatti e qualche cavallo; alcuni anni fa i contadini portavano
galline, conigli, pecore, agnelli, asini, animali legati perlopiù alla
sussistenza della famiglia. Anticamente al mattino della festività lungo la scalinata che conduce alla chiesa si
svolgeva un piccolo mercato della frutta
per dare risalto e onore al Santo.
Dal punto di vista gastronomico il Santo viene degnamente
festeggiato, poiché il suo giorno apre il periodo carnascialesco e allora sulle
tavole abbondano cavatelli e carne di maiale, fave cotte, frittelle e dolci
tipici. A tal proposito c’è un aneddoto da citare: quando la città era ancora
piccola e arroccata alle basi del monte, i quartieri erano due: Sant’Antonio Abate
che si estendeva nella parte bassa e più antica della città; mentre nella parte
alta sorgeva il quartiere di San Paolo la cui ricorrenza cade il 25 gennaio. Ovviamente tra le due zone
c’erano rivalità, allora i sant’antunari avevano composto un detto ironico contro
i sant’paulani che recita così:
“'n Sant’Antuone le jete ch’ ru ‘alle; n’Sant’Paule checoccia
e farenata”
(nel giorno di Sant’Antonio Abate gli abitanti del quartiere
mangiavano le bietole col gallo; nel giorno di San Paolo, invece i sant’paulani
mangiavano zucca con polenta); questo era uno dei modi di farsi dispetti.
Monaco anacoreta,
Sant’Antonio Abate trascorse la sua vita in eremitaggio, era un uomo
forte nella fede, per questo il demonio non mancava di tentarlo presentandosi a
lui in vari modi, ad esempio sotto forma di donzella (la cui presenza la ritroviamo sui misteri del Di Zinno); essa
non è altro che il demonio stesso travestito da donna per tentare il sant’uomo.
Poiché il Santo viene rappresentato iconograficamente con un porcellino, ecco subito
pronto un proverbio campobassano che benevolmente dice:
“Sant’Antuone z’annammuratte d’ù puorche”
che in genere viene detto cinicamente quando in una coppia
di fidanzati uno dei due è un po’ brutto; in realtà essendo Sant’Antonio patrono degli animali si deve a
ciò tale rappresentazione.
C’è anche un’altra motivazione senz’altro più
valida: i monaci anacoreti vivevano di elemosine, potevano tenere con sé solo
quel tanto che bastava per mangiare, però era stato concesso loro di crescere
un maialino, infatti fino a qualche tempo fa nei paesi vagabondava un
porcellino con un campanellino legato al collo che serviva a segnalare la sua
presenza chiamato appunto “purchettiell’e
Sant’Antuone” e ognuno lo nutriva con qualche avanzo della tavola. Quando
era il momento il maialino veniva sacrificato per una giusta causa in quanto
con il suo grasso gli antoniani (seguaci di Sant’Antonio Abate), curavano gli
ammalati e distribuivano le carni ai poveri.
Sempre interessante ripercorrere il significato delle tradizioni campobassane!
RispondiEliminaBravo narratografo...